Il circolo vizioso dell’acidificazione dei mari

Come diventano acidi i mari e gli oceani?

Dopo gli incontri di febbraio del MedReAct, a Catania gli organi competenti hanno dato l’allarme confermando l’esistenza del sovra sfruttamento degli stock ittici. Oltre alla pesca intensiva, l’acidificazione delle acque e l’innalzamento della temperatura media sicuramente non favoriscono la crescita degli stock.

I mari, e in particolare gli oceani, sono ormai pieni di plastica. Tanti sono i progetti partiti per cercare di recuperarne quanta più è possibile: un’impresa, ma quantomeno esiste un rimedio.

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Ben più ardua è la questione sull’acidificazione delle acque  e dell’innalzamento della temperatura media. Queste problematiche nascono entrambe da un’unica sorgente: l’attività umana.

Per l’innalzamento della temperatura media ci sono più correnti di pensiero: chi dice che non è variata, c’è chi conferma la normale  variazione in quanto nei millenni si sono sempre notate delle oscillazioni e chi trova l’innalzamento della temperatura un’anomalia. Di sicuro l’acidificazione dei mari ha una spiegazione di base chimica, che presto argomenteremo e vi faremo intuire come una variazione di temperatura condiziona l’acidità dell’acqua.

E’ bene sapere che la maggior parte della CO2 è conservata in grossi serbatoi, i mari e soprattutto gli oceani. Il punto è che con l’attività umana si immette sempre più anidride carbonica nell’atmosfera. Quest’ultima, dato che non ha una particolare capacità di assorbirla, tende a cedere molto volentieri la CO2  alle distese d’acqua. Anche perché, a parità di volume, l’acqua può contenere molta più anidride dell’aria.

Il processo che avviene è esattamente questo: l’uomo produce CO2 che si riversa in atmosfera. Questa cerca un continuo equilibrio con mare e oceani, pertanto, più l’uomo produce anidride carbonica e più questa andrà a finire nelle acque. Naturalmente l’acqua salata possiede un suo Ph, l’indice dell’acidità. Esso è basico e varia tra i 7,7 e 8,3. Il problema è che l’aggiunta di CO2 e il suo scioglimento comportano anche la formazione dell’acido carbonico (H2CO3). Più H2CO3 è presente in quantitativi importanti e più il Ph diventerà acido. Questo circolo diventa vizioso quando allo stesso tempo si nota un aumento di temperatura. Questo fenomeno comporta due problematiche: un aumento dell’evaporazione delle acque marine con conseguente aumento di produzione di vapore acqueo, considerato tra i principali gas serra. Senza considerare che qualsiasi reazione chimica, come quella che produce l’acido carbonico, è favorita con l’aumento della temperatura. In altre parole, più sale la temperatura terrestre e maggiore sarà il quantitativo di acido creato dalla reazione.

Tutto ciò non favorisce certamente la ripresa dello stock ittico. Basti pensare all’oceano come un grandissimo contenitore d’acqua, ossigeno e anidride carbonica. Se il quantitativo d’acqua rimane costante, ma si accumula sempre più CO2  significa che ci sarà sempre meno ossigeno, fondamentale per la vita sottomarina. In futuro il peggioramento di questa situazione comporterà un’influenza negativa sullo stile di vita migliore e, già da ora sulla fauna. Le soluzioni per ovviare a questo inconveniente esistono, il problema è conosciuto, ora sta all’ uomo applicare e migliorare le tecniche.

La curiosità

Oggi giorno molte centrali termoelettriche alimentate a carbone hanno un meccanismo di sequestro della CO2. L’anidride accumulata a volte viene iniettata in mare oltre i 3000 metri di profondità. Essendo più pesante, rimarrà per moltissimi anni confinata sul fondo e risalirà verso la superficie con elevata difficoltà. Questa è una delle tante tecniche per non immettere l’anidride carbonica in atmosfera e nell’ ambiente sottomarino caratterizzato dalla vita.